Ogni tanto, orgoglioso d’essere italiano…

Non sono mai stato uno che va in giro propagandando la propria italianità, men che meno quando sono all’estero, e qui in Kenya non siamo visti molto di buon occhio, perché non sempre noi italiani ci comportiamo bene, ma quando si incontrano delle “eccellenze” provenienti dal nostro paese è giusto soffermarsi un attimo e sottolineare la cosa… l’ultima volta che l’ho fatto, tra l’altro, risale al 2011, alla meravigliosa scoperta fatta grazie a Padre Jairo Franco che mi portò ad Oldo Nyro, un minuscolo villaggio reso “famoso” da un nostro connazionale, un missionario laico, che aveva costruito lì il suo villaggio per bambini cardiopatici, un meraviglioso centro di accoglienza per ragazzi provenienti da ogni parte del kenya in attesa di trapianto… questi venivano curati, gli veniva insegnato l’italiano in vista di una loro partenza alla volta del nostro paese per l’intervento, e poi passavano nel centro anche i 2-3 anni successivi, come recupero post operatorio, vista la totale assenza nel paese di centri adatti al caso… Nonno Luigi, così si faceva chiamare, ha costruito per loro, grazie alla sua iniziativa e con l’aiuto di tanti nostri connazionali, anche una scuola, un orto dove vengono prodotti ortaggi, usati nella cucina ma anche venduti per sovvenzionare le varie attività, e una piccola officina di utensileria. Ma questo è storia…
Il presente invece oggi mi parla di un altro bel personaggio, anzi, sono due, entrambi italiani, e anche questa volta, tanto per cambiare, c’è lo zampino di Fr. Jairo Franco…
Andiamo con ordine e cerco di farvi capire: lo scorso anno sono stato contattato, quando ero qui in Kenya, tramite la posta di FB, da un medico italiano di cui avevo già sentito parlare nei miei viaggi precedenti, per essere il fondatore di un validissimo progetto umanitario quale Find the Cure (www.findthecure.org)
Daniele, questo il suo nome, mi scrive appunto di essere un medico, appassionato di basket, e di seguire il mio progetto, e vorrebbe incontrarmi, perché si trova in Kenya, proprio nella mia stessa zona, quella Samburu, e mi dice anche di conoscere bene la realtà locale… io non dico di no, anzi, la cosa mi fa piacere, ma chi mi ha seguito lo scorso anno sa bene quante ne ho passate e quale fosse il mio “umore”… e così, rimanda oggi, rimanda domani, non ho mai più sentito ne incontrato Daniele, anche se ho cominciato a seguire il suo percorso tramite il diario di “faccialibro”.
Tanti medici italiani svolgono attività lodevoli di volontariato, in Africa come in anti altri paesi meno organizzati dal punto di vista sanitario del nostro, ma quel che fa Daniele, insieme ad un’altra dottoressa italiana, Yasmin, è a mio parere qualcosa che va oltre…
Entrambi infatti vivono qui a Maralal, stabilmente, e sono dipendenti dell’ospedale locale, percependo non un ricco stipendio di medico italiano in trasferta per salvare i mondo, ma il sicuramente più modesto corrispettivo che spetta ad ogni medico Keniota… e lavorano ogni giorno in condizioni per noi persino difficili da immaginare.
In questo periodo, poi (a dir iI vero un periodo già un po’ troppo lungo) il loro lavoro è diventato ancora più arduo a causa del prolungato “strike” da parte degli infermieri, che ha costretto alla chiusura i tanti dispensari disseminati sul territorio locale, e che ha anche fatto si che di tutti i padiglioni dell’ospedale di Maralal rimanesse aperta solo la maternità, con un conseguente sovraffollamento di pazienti di ogni genere…
Uno sciopero alquanto inusuale, perché gli stessi infermieri, in attesa di ridiscutere il loro contratto di lavoro, se ne stanno a casa, pagati dal governo, mentre i medici combattono ogni giorno in condizioni quasi disperate.
Ho incontrato Daniele e Yasmin quasi per caso, appena arrivato a Maralal, ad inizio Luglio, prima di andare su a Tuum.
In quella occasione abbiamo scambiato due chiacchiere veloci, e ci siamo ripromessi di ritrovarci per confrontarci con più calma su alcune tematiche care ad entrambi…
Tanto per cambiare, a causa dei miei continui cambi di programma, ho dovuto rimandare di un paio di volte il nostro appuntamento, tanto che lui stesso oggi mi ha confidato che era convinto non ci saremmo piu incontrati, ma era una cosa a cui tenevo, e sono contento di aver fatto.
Ci accomuna la passione per lo sport, per il basket, per il running, ma soprattutto per l’Africa e per la solidarietà… anzi, la sua passione è di sicuro più forte della mia, perché quel che fa, attraverso il suo lavoro e attraverso la sua associazione, è qualcosa di davvero ammirevole…
L’ho raggiunto oggi proprio in ospedale, è stato più che disponibile nel mostrami i vari reparti, soffermandoci ovviamente di più in quello di maternità dove lui e Jasmine si adoperano quotidianamente.
Inutile dirvi che non mi lamenterò mai più dello stato in cui versano i nostri ospedali… però allo stesso tempo ho visto tanta dignità negli occhi dei pazienti, non ho visto gente lamentarsi per le lunghe attese a cui devono sottoporsi magari per una visita. E poi ho visto tanto rispetto e gratitudine quando parlavano con Doctor Daniel.
Uno che fa la sua vita (come anche Yasmin, oggi forse anche più occupata di lui, visto che l’ho tenuto per un po’ occupato) potrebbe “bastarsi”, sentirsi già più che appagato del proprio contributo all’umanità, ma quel che riesce a fare attraverso Find the Cure va anche oltre…
La sua associazione, nata nel 2006, oggi gode di un’organizzazione da fare invidia, con diverse sedi in Italia (3 se non erro, tutte nel Nord Italia), e progetti legati all’assistenza educativa e sanitaria nel mondo.
C’è il suo zampino, tanto per dire, nella Nursery di Tuum, di cui credo di avervi già parlato (ricordate suor Alba e i suoi fantastici bambini???), come in tanti altri posti del mondo “meno organizzato”.
Per poter chiacchierare un po’ si è concesso una veloce pausa pranzo, in un posto vicino l’ospedale. In primis mi ha dato qualche utile consiglio su come organizzare meglio Samburu Smile, sia qui in Kenya che soprattutto in Italia, su come gestire eventuali figure di supporto, volontari che possano far crescere il progetto senza mai perdere la sua dimensione di partenza.
Poi mi ha fatto una proposta, mi ha chiesto di andare a visitare, appena lui sarebbe rientrato a lavoro, un posto lì vicino che Find the Cure supporta attraverso un progetto legato all’alimentazione.
Questo posto, chiamato SHERP (un acronimo di cui ho scoperto solo dopo il significato) si trova proprio lì a Maralal, ed è un centro che accoglie circa 80 ragazzi disabili, dai giovanissimi fino agli adolescenti, passando da disabilità fisiche a disabilità mentali, più alcuni ragazzi sordi…
Grazie a Find the Cure questi ragazzi possono mangiare decentemente tutti i giorni, in una sala mensa messa a nuovo per loro e inaugurata recentemente da DANIELE, Jasmin e altri due volontari italiani, e lui stesso provvede alla “spesa”, attraverso l’acquisto di prodotti locali.
Poi ci sono le attività ricreative, come il “cinema” del sabato, tanto che mi ha fatto anche sentire in colpa perché mi ha detto che l’ultima volta i bambini mi aspettavano per guadare un cartoon assieme…
Ma perché Daniele mi ha parlato di tutto questo? Perché da amante dello sport crede molto nel valore terapeutico dell’attività fisica, e perché esiste, all’interno del centro, uno spazio riservato alle attività sportive, e tra le varie cose ci sono anche un paio di canestri… ma manca chi faccia fare attività ad i ragazzi in un certo modo, e mancano i palloni…
Così, incuriosito, senza saper bene a cosa andavo incontro, mi sono incamminato verso questo posto… ad accogliermi una pioggia battente, che nel frattempo ha costretto tutti gli “ospiti” di questo centro a rifugiarsi a coperto!
La mia passeggiata, iniziata sul verde prato del campo destinato proprio alle attività sportive (un campetto malridotto di calcio, peggio ancora quello di volley, e due canestri che lasciano immaginare quello da basket) si è velocemente spostata verso gli edifici… a guardarmi, incuriositi, dei ragazzi sull’uscio di quello che ho poi inteso essere uno dei 4 dormitori… li ho salutati, ma mi hanno fatto capire, con dei cenni, che erano sordomuti… da lì, timidamente, mi sono spostato verso altre aree, e più vedevo più mi intristivo per la realtà che mi si spalancava davanti gli occhi…
viene difficile persino parlare di un posto del genere, descriverlo sembra quasi mancare di rispetto verso i suoi “ospiti”.
Ad un certo punto ho incrociato una giovane ragazza orientale, ci siamo presentati e Miki (questo il suo nome) mi ha detto di esser una laureanda nel settore, che ogni anno da volontaria viene qui in Kenya a dare una mano… mi ha accompagnato per un “tour” del centro, e quando in un paio di stanze sono stato sovrastato da bambini che, con le loro enormi difficoltà, cercavano le mie mani o i miei occhi per un saluto, nonostante sorridessi, qualche lacrima ha segnato iI mio viso… mi verrebbe da dire tante cose, vorrei spalancare i miei pensieri, ma in questo momento non me la sento… voglio, vorrei solo trasferirvi il mio senso di impotenza davanti a quanto vedevo…
Mi sono trattenuto un’oretta, poi sono andato via, col desiderio di voler far qualcosa per loro, anche se cosa proprio non saprei… ho mandato un messaggio a Daniele, per “ringraziarlo” del regalo… è proprio vero che certe volte è meglio essere “ignoranti” rispetto ad alcune realtà, che doverle vedere, affrontare, conoscere…
Sabato ci reincontreremo, dovremmo avremo un po’ più di tempo da passare assieme, per capire ancora di più come Find the Cure e Samburu Smile possano in qualche modo supportarsi a vicenda in una zona così bisognosa di aiuto…
In ogni caso oggi, una volta di più, mi sento “ricco” e fortunato per tutto quello che la vita mi ha saputo donare…
WE ARE ALL MIRACLES, proprio come è scritto sullo scolorito murales del centro che ho fotografato per voi..
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